#lastitaly: Il welfare? Social e fai da te


Osservatori - lunedì 23 Maggio, 2016

Un welfare social e fai-da-te. Potrebbe essere definito in questo modo il sistema di protezione percepito dagli italiani. Di fronte a un’eventuale difficoltà, per avere un aiuto la maggioranza si rivolgerebbe alla triade costituita da famiglia (90,0%), amici (72,3%) e associazioni di volontariato (54,8%). I servizi offerti dal proprio Comune (18,8%) e dallo Stato (15,9%) vengono ultimi nella classifica, non sono individuati fra gli enti cui ci s’indirizzerebbe nell’immediato. Anzi, fra i primi e gli ultimi troviamo altre realtà come i vicini di casa (28,7%), piuttosto che le parrocchie (23,7%) o la gente del paese (22,5%) a funzionare – per una minoranza – da àncora di salvataggio. In realtà non si tratterebbe solo di una percezione, se consideriamo lo sviluppo che in pochi anni sta conoscendo l’esperienza del “social street”, a partire dall’esperienza bolognese di via Fondazza. Socializzare con i vicini della propria zona di residenza per condividere necessità e professionalità, conoscenze, realizzare progetti di interesse comune. Insomma, costruire una nuova interazione sociale a “km 0” e a “costi 0”. È una rivisitazione del tradizionale sistema di welfare che mette in gioco le energie presenti nel capitale sociale della società.

La Stampa p. 34, 23 maggio 2016

Ovviamente, nel nostro paese non manca la rete di servizi pubblici e sociali, compresi quelli del privato-sociale, efficienti e all’avanguardia, soprattutto in alcune regioni. Tuttavia, si tratta di casi che non arrivano a diventare un vero e proprio sistema che innerva l’Italia intera. In generale, i servizi pubblici soffrono un insieme di fattori che li rendono marginali nella pubblica opinione. Già di per sé l’aggettivo “pubblico” o “statale” nell’immaginario collettivo risente di un’eco negativa, come qualcosa di scadente e anonimo. È assimilato a “burocrate” che in Italia ha un sapore deteriore, diversamente da altri paesi come la Francia e la Germania dove questa figura professionale ha uno status ben più elevato. A tale valutazione, si aggiunge non solo il calo generato dalle difficoltà del deficit pubblico, soprattutto un uso – in diversi casi dissennato – delle risorse collettive, che rende tutto più complicato sia per i servizi statali, sia per quelli del privato sociale che operano in sintonia. Per non dire dei reportage giornalistici volti a mettere in luce gli sprechi perpetrati negli anni. Se a tutto ciò aggiungiamo che le domande di servizi da parte della popolazione tendono ad aumentare e soprattutto a diversificarsi possiamo comprendere come mai, nelle rappresentazioni sociali, più ancora che nella realtà, i servizi pubblici occupino un ruolo marginale nell’immaginario collettivo. A loro si guarda quasi in ultima istanza, se non si dispone di altre possibilità.

La ricerca di Community Media Research testimonia una volta di più che la famiglia, nonostante le profonde trasformazioni strutturali che l’hanno investita, continua a essere la vera grande risorsa del nostro Paese. Una ricchezza che non è solo simbolica e di valore, sede di affetti e relazioni. Ma anche realtà organizzativa, rete di supporto concreto. È il vero welfare che sta sostenendo oggi le giovani generazioni: offrendo la casa quando decidono di convivere (e poi sposarsi), utilizzando i risparmi e gli investimenti accumulati nel tempo, quando erano ancora possibili. Risparmi, però, che oggi si stanno consumando più di quanto si riescano ad accantonare, generando così contenimenti dei consumi. E ancora nell’incerto transito alla ricerca di un lavoro: chi cerca un’occupazione lo fa autonomamente inviando il proprio curriculum alle aziende (28,7%) e tramite le conoscenze delle famiglie, il passa-parola (25,2%). Solo il 4,8% si rivolge ai Centri per l’impiego pubblici (ricerca CMR-Adecco). Dunque, la famiglia è la risorsa che, come sottolineano gli economisti, ha acconsentito al nostro paese di sopportare meglio di altri le nerbate della crisi economica: perché meno indebitate e capaci di risparmio, perché in passato hanno investito maggiormente in beni solidi (la casa).

Sommando le reti cui gli interpellati si appoggerebbero in caso di necessità, è possibile identificare una misura di sintesi che aiuta a definire l’intensità del network di sostegno di cui dispone la popolazione. Ne scaturiscono così tre tipologie. Il gruppo più cospicuo è rappresentato da quanti dispongono di “reti flessibili” (59,3%). Si tratta di persone che individuano un novero relativamente contenuto e flessibile di sostegni al di fuori della sfera familiare e amicale. Il secondo gruppo è formato da chi denuncia “reti fragili” (34,1%) ovvero chi non dispone totalmente o ha pochissime reti di riferimento in caso di necessità. Anche quella familiare appare debole. Infine, il terzo gruppo è di chi ritiene di poter contare su “reti solide” (6,4%), di un network di solidarietà più esteso in caso di necessità.

Reti amicali, mondi volontari e famiglie sono l’elemento centrale del nostro capitale sociale. La questione è che su quest’ultime ricade un sovraccarico di funzioni. Troppo spesso sono lasciate sole a gestire situazioni complicate: la scarsità di servizi per l’infanzia spinge le giovani coppie a dover fare affidamento ai nonni o alla rete parentale; sono ancora poche le imprese attente alle problematiche della mamme lavoratrici; per non dire della quantità di donne migranti che assistono gli anziani nelle loro case. Dunque, sono le reti corte a funzionare come supporto, mentre via via che ci allontaniamo dalla cerchia delle conoscenze dirette, tale rete sembra avere una trama molto più esile. Proprio per questi motivi, non solo serve un servizio pubblico in grado di intercettare le domande, ma vanno perseguite in modo complementare le strade di un welfare generativo come le “social street”: dove sia possibile costruire nuove forme di inte(g)razione e reciprocità.

Daniele Marini

Nota metodologica

Community Media Research, in collaborazione con Intesa Sanpaolo per La Stampa, realizza l’Indagine LaST (Laboratorio sulla Società e il Territorio) che si è svolta a livello nazionale dal 22 marzo al 4 aprile 2016 su un campione rappresentativo della popolazione residente in Italia, con età superiore ai 18 anni. Gli aspetti metodologici e la rilevazione sono stati curati dalla società Quantitas. I rispondenti totali sono stati 1.997 (su 13.287 contatti). L’analisi dei dati è stata riproporzionata sulla base del genere, del territorio, delle classi d’età, della condizione professionale e del titolo di studio. Il margine di errore è pari a +/-2,2%. La rilevazione è avvenuta con una visual survey attraverso i principali social network e con un campione casuale raggiungibile con i sistemi CAWI e CATI. Documento completo su www.agcom.it e www.communitymediaresearch.it.