#lastart. Preoccupazione tra i nordestini per il futuro
Sondaggi - domenica 13 Marzo, 2016
Una dinamica frenata: sembra un ossimoro, ma è questa la prospettiva che i nordestini intravedono per la propria famiglia e per l’economia nei prossimi anni. D’altro canto, non si può dar loro torto. Ascoltando le notizie che provengono dai mercati finanziari e dalle istituzioni economiche non c’è di che stare allegri. La borsa è volatile e instabile; le stime di crescita mondiale sono positive, ma progressivamente riviste al ribasso. Una parte dei famosi BRICS, che fino a poco tempo fa trainavano l’economia mondiale (Russia, Brasile), sono in affanno e la stessa Cina – che pur continua a svilupparsi – ha rallentato il suo slancio. Le vicende internazionali poi (Siria, migrazioni, terrorismo,…) decisamente non aiutano a semplificare il quadro complessivo. Guardando all’Italia, le stime di PIL hanno il segno positivo, ma sono inferiori rispetto alle previsioni. In più pesa molto la situazione di alcune banche locali che hanno bruciato cospicue risorse di famiglie e imprese. È facile comprendere come, agli occhi della popolazione, il quadro complessivo sia contrassegnato ancora da molte incertezze. E con l’incertezza aumenta la dimensione della cautela, della prudenza. Soprattutto se, dopo la ventata di cambiamento portata dal governo Renzi con le sue riforme e le promesse, i risultati tardano a dispiegarsi in modo sistematico oppure non sono così eclatanti come si attendeva.
Messaggero Veneto, 6 marzo 2016
Quotidiani Finegil, 13 marzo 2016
Corriere delle Alpi, 13 marzo 2016
Certo, le responsabilità non sono esclusive dell’esecutivo, perché le problematiche ereditate hanno radici che affondano indietro nel tempo e il contesto istituzionale europeo, con i suoi vincoli burocratici e politici, non aiuta a risolvere i problemi che il Paese deve affrontare. Ciò non di meno, la sindrome dello “zero-virgola” impedisce un decollo veloce e stabile ai germogli di ripresa che pur si sono registrati in questi mesi. A dicembre 2015 il 51,3% dei nordestini riteneva uguali e migliorate le proprie condizioni economiche rispetto a 5 anni prima, con una misura identica a quella rilevata nel 2013 (51,3%). E poco più della metà dichiarava che il proprio reddito mensile era adeguato a sostenere le spese ordinarie (62,0%, era il 63,4% nel 2013). Ovvero, lo specchio di un paese sostanzialmente stabile.
Se proviamo a chiedere alla popolazione cosa prefigura per il futuro proprio e dell’economia del Paese nei prossimi anni (Community Media Research) l’esito non si discosta, anzi arretra. Complessivamente, quasi due terzi (61,9%) fra gli interpellati prevedono per sé e per la propria famiglia una stabilità della propria ricchezza più che un incremento, mentre il restante terzo (33,4%) ritiene ci sarà un ulteriore peggioramento. L’economia del territorio in cui risiedono non gode una migliore percezione, tutt’altro: circa i due quinti (39,3%) delineano una stabilità e un miglioramento, ma ben il 51,1% prevede una recrudescenza della situazione. Un po’ meglio si suppone andrà per l’Italia: quasi la metà (46,4%) auspica una congiuntura stabile e di sviluppo, ma una quota quasi analoga (43,1%) suppone vi saranno ulteriori difficoltà. Migliore di tutte si prefigura l’economia in Europa: per il 56,9% dei casi la stima soprattutto in sviluppo. Dunque, per i nordestini le condizioni economiche cresceranno all’estero, negli altri paesi europei, rimarranno sostanzialmente stabili per sé e la propria famiglia, ma non miglioreranno di molto per l’Italia e, soprattutto, per il proprio territorio.
Tale quadro, tuttavia, non solo riverbera l’immagine di un Nord Est che ancora fatica a ripartire in modo deciso, quanto meno nella percezione della popolazione. Di più, rispetto al 2014 – anno di ventate di cambiamento (rottamazione, come si ricorderà) – assistiamo oggi all’emergere di un entusiasmo sopito, più incline alla preoccupazione che all’ottimismo. Infatti, il confronto con quanto rilevato nel 2014 evidenzia uno spostamento degli umori, in negativo. Sommando le risposte fornite è possibile delineare quattro profili dei rispondenti. Gli “ottimisti” sono un decimo degli interpellati (12,6%), ma erano ben di più nel 2014: il 30,7%. Annoverano chi, per tutte le dimensioni, ipotizza percorsi di miglioramento economico e, in proporzione, si trovano nel Friuli Venezia Giulia (37,4%). Due, però, sono i gruppi più cospicui. Il primo è di “preoccupati” (47,1%), in netta crescita rispetto al 2014 (24,0%), e comprendono quelli che hanno una visione tendenzialmente pessimista per le condizioni economiche future, prospettiva particolarmente diffusa nel Veneto (52,3%) e fra le giovani generazioni. Il secondo gruppo è degli “attendisti” (28,3%, era il 40,1% nel 2014) ovvero di quanti oscillano attorno a una condizione di stabilità o di leggero miglioramento per il futuro. In questo caso ritroviamo soprattutto i Trentini e gli Alto Atesini (97,4%). Infine, i “pessimisti” (12,0%), nucleo marginale, ma in aumento rispetto al 2014 (5,2%), che prevede un sostanziale declino generalizzato e diffusi in particolare in Veneto (14,4%). Quindi, i nordestini sono soprattutto “preoccupati”, di chi teme in futuro un inasprimento delle difficoltà, mentre calano sia gli “attendisti”, i cauti sul futuro dell’economia, sia gli “ottimisti”.
Posto che la percezione delle condizioni economiche risulta invariata in questi ultimi anni, una maggiore prudenza sulle prospettive future può derivare sicuramente dall’incertezza del contesto generale, ma in particolare dalla lentezza con cui i cambiamenti si manifestano concretamente. Con la distanza che c’è fra il dire e il fare. Il premier Renzi opportunamente si sforza di offrire una narrazione positiva, utile per tracciare il percorso da compiere. Ma fra un atteggiamento entusiastico e il gufare, esiste un approccio di (sano) realismo con cui fare i conti.
Daniele Marini