Gli orientamenti dei lavoratori a Nord Est
Sondaggi - domenica 20 Dicembre, 2015
Post-ideologici e caratterizzati da una forte soggettività: si presentano così i lavoratori del Nordest. In fondo, si è esaurita – e non da oggi – quella fase storica in cui il lavoro aveva assunto una connotazione quasi ideologica, come rilevava già negli anni ’80 Aris Accornero, e la classe operaia costituiva il punto nevralgico. La dimensione della flessibilità e dell’investimento nell’impresa, la partecipazione e il coinvolgimento nei luoghi dove si opera, così come il clima relazionale, costituiscono aspetti fondamentali per le persone. Ciò non significa – parafrasando il titolo del film di Petri – che la classe operaia viva in un paradiso. In questi decenni, sono intervenute metamorfosi non solo nelle organizzazioni del lavoro, come opportunamente sottolineava il Ministro Poletti qualche settimana fa, ma anche negli orientamenti dei lavoratori. Tuttavia, fatichiamo a vederle e analizzarle. Perché abbiamo focalizzato l’attenzione e il dibattito pubblico esclusivamente attorno alle regole e ai meccanismi di funzionamento del mercato del lavoro: il Pacchetto Treu, la riforma del compianto Biagi, il Jobs Act del Governo Renzi.
Messaggero Veneto, 20 dicembre 2015
Quotidiani Finegil, 23 dicembre 2015
Sui temi del lavoro è calata una coltre spesso ideologica, ancorata a visioni e a condizioni dell’epoca fordista, in cui i “diritti” rimangono quasi cristallizzati e non vengono declinati con i mutamenti organizzativi e culturali intervenuti negli anni. Così, il risultato finale è una discussione pubblica divisiva. I temi del lavoro sono segnati dalla sindrome dello strabismo: incapaci di mettere realmente a fuoco i fenomeni. Facendo così prevalere gli stereotipi, il già noto. Siamo passati dalla “classe dei lavoratori”, a “lavoratori fuori classe”. Dalla mitica “classe operaia”, transitiamo a collaboratori caratterizzati da una forte soggettività che non si riconoscono più in una “classe” omogenea. Il cui livello di identificazione con il proprio lavoro e l’azienda in cui sono inseriti è ben più elevato di quanto non si potesse ritenere. Una recente ricerca (Community Media Research per Federmeccanica) ha scandagliato gli orientamenti dei lavoratori svelando un quadro generale venato da profonde trasformazioni. Vediamone qualche evidenza: il 72,1% si sente come “a casa” all’interno dell’impresa, il 75,6% è disponibile a introdurre flessibilità negli orari e nei turni, il 77,8% vuole contribuire a realizzare innovazioni per risolvere problemi che si presentano sul lavoro. Il 58,3% vorrebbe un salario in parte proporzionale ai risultati d’impresa, il 47,2% persino sarebbe disponibile a finanziare di tasca propria le innovazioni, avendone poi un ritorno economico. Il merito è il criterio prevalente di giustizia sociale sul lavoro: il 62,1% ritiene che debbano essere pagati di più quelli con una maggiore preparazione, cui si aggiunge il 32,3% che chiede sia data a tutti un’adeguata formazione di base, ma poi ognuno se la deve giocare da sé. Largamente marginali sono quelli indistintamente egualitari, per cui tutti devono avere salari relativamente simili (5,6%). In definitiva, la larga maggioranza fra i lavoratori s’identifica con l’impresa che sentono come propria (78,0%), dove sviluppano relazioni sociali e amicizie. Per questi motivi tendono a condividerne gli obiettivi, i destini: vorrebbero poter partecipare anche alle decisioni aziendali (62,4%). Perché un’impresa è soprattutto un valore sociale, per sé e per il territorio (91,0%). Non sono cambiate solo le imprese e il loro modo di produrre. Non si sono trasformate solo le professioni e le mansioni. Sono mutati anche gli orientamenti e le culture nei confronti del lavoro da parte della popolazione. Tuttavia, non abbiamo ancora una narrazione di queste metamorfosi.
Daniele Marini