Appartenenza ai gruppi sociali: un’istantanea sulla percezione degli Italiani


Osservatori - lunedì 30 Gennaio, 2017

L’avvento della crisi finanziaria ed economica nel 2008 costituisce uno spartiacque per i paradigmi dello sviluppo, i cui effetti sono tuttora presenti sotto molteplici dimensioni. Fra le conseguenze, la più evidente è la polarizzazione del sistema produttivo: le imprese si sono divise in modo sempre più netto fra chi ha ottenuto performance positive e chi ha manifestato difficoltà sempre più marcate. Generalmente, le prime sono quelle che hanno investito nei processi di innovazione e si sono aperte alle relazioni con i mercati esteri. Le seconde, invece, sono quante non hanno saputo/potuto innovare e hanno operato esclusivamente sul mercato domestico. Fra questi due poli, lo spazio di manovra ispirato a un’attesa passiva in vista di un miglioramento, ha prodotto solo esiti negativi e fatto scivolare fuori dal mercato. Ora questo processo di divaricazione sempre più netto si sta spostando dal piano del sistema produttivo a quello delle famiglie e degli individui. E tutto fa pensare che avrà una velocità relativamente elevata, di cui già oggi avvertiamo i segnali. È sufficiente consultare gli ultimi dati per verificare l’accentuarsi di un fenomeno di recrudescenza della povertà e di polarizzazione nelle condizioni economiche delle famiglie.

L’Istat stima che il 28,7% delle persone residenti in Italia (2015) sia a rischio di povertà o esclusione sociale (era il 28,3% nel 2014). Questi dati ci collocano ancora lontano dalla soglia individuata dalla strategia Europea 2020 che ha indicato per il nostro paese una quota poco inferiore ai 13 milioni di individui, quando oggi superiamo di molto i 17 milioni. E mentre in Europa mediamente si assiste a un calo della povertà, noi scaliamo verso l’alto la classifica, purtroppo unico caso in cui saliamo nelle graduatorie internazionali. E non solo aumenta l’esclusione sociale, ma anche la distanza fra ricchi e poveri. L’Istat evidenzia come fra il 2009 e il 2014 il reddito in termini reali cali in misura maggiore per le famiglie appartenenti al 20% più povero, ampliando così la distanza da quelle più ricche il cui reddito passa da 4,6 a 4,9 volte rispetto alle più povere. La polarizzazione delle condizioni economiche, poi, investe anche le famiglie italiane e, come sottolinea l’ultimo rapporto Caritas, tale processo scardina le tradizionali categorie sociali che – in precedenza – erano quelle più a rischio di esclusione. Oggi i sistemi di disuguaglianza investono anche le generazioni più giovani, chi pur avendo un lavoro e con pochi figli però è precario o ha una bassa remunerazione. Soprattutto tocca sempre più da vicino anche il ceto medio, erodendone le tradizionali certezze. Non è un caso che dopo il voto in Gran Bretagna (Brexit), l’elezione di Trump negli USA e il diffondersi di movimenti populisti che intercettano parti significative di elettorato appartenente al ceto medio, l’attenzione della politica verso i temi della coesione sociale stiano rientrando nell’agenda politica. Come sia modificata l’appartenenza ai diversi gruppi sociali da parte della popolazione è l’oggetto dell’ultima rilevazione di Community Media Research. L’esito complessivo rimarca la polarizzazione nelle condizioni economiche percepite. Se nel 2011 poco più della metà degli italiani (52,2%) si ascriveva al ceto medio-alto e alto, oggi solo il 26,5% si colloca nei medesimi gruppi sociali. Viceversa, se aumenta leggermente la quota di quanti si identificano nel ceto basso (9,5%, era il 4,5% nel 2011), accrescono significativamente quanti vanno a ingrossare le fila del ceto medio-basso che dal 43,3% (2011) passano al 64,1% (2016). Dunque, è soprattutto una parte consistente del ceto medio a subire una divaricazione nelle condizioni economiche percepite, sospinte a una mobilità verso il basso, più che verso l’alto. È un fenomeno che investe l’intero nostro paese, ma che conosce nel Mezzogiorno un particolare deterioramento. Nel 2011 il 46,6% degli interpellati si situava nei ceti medio-basso e basso, per salire a ben il 78,8% nel 2016. Di qui, come ha recentemente sottolineato anche il premier Gentiloni, l’attenzione che l’esecutivo vuole destinare alle generazioni più giovani e al Mezzogiorno. Confrontando le auto-collocazioni nei due periodi è possibile definire la mobilità sociale percepita degli italiani, ovvero come e se funziona l’ascensore sociale. L’esito ci consegna un paese in gran parte bloccato. Per quasi i due terzi degli italiani (62,1%) l’ascensore sociale rimane sempre allo stesso piano: nel periodo esaminato (2011-16) non hanno conosciuto scostamenti significativi, al più hanno avuto una mobilità orizzontale. Ciò è avvenuto, in particolare, per i più giovani (68,2% fino a 34 anni), i laureati (69,4%), chi appartiene ai ceti medio-alto e alto (86,6%) ed è residente al Nord (66,6%). Invece, per un terzo (34,3%) l’ascensore sociale è sceso verso il basso. Tale discesa coinvolge le persone al crescere dell’età (41,0% oltre 65 anni), chi ha un titolo di studio medio-basso (35,8%) ed è disoccupato (49,6%). Soprattutto, interessa chi risiede nel Mezzogiorno (43,2%) e chi appartiene al ceto medio-basso (41,7%) e basso (67,4%). Sono molto pochi (3,6%) coloro che hanno conosciuto una mobilità sociale ascendente e in modo pressoché esclusivo chi apparteneva al ceto medio-alto (11,1%).

Così, non solo siamo di fronte a un processo di polarizzazione delle condizioni economiche degli italiani, ma è evidente come – in assenza di possibilità di mobilitazione sociale ascendente – si palesi anche un “effetto spirale” che sospinge verso una marginalità ulteriore chi già si trovava in difficoltà, da un lato. E, dall’altro, risucchi verso l’alto solo quanti occupavano già posizioni elevate. Parafrasando il compianto sociologo Bauman, più che “liquido”, l’Italia è un paese “vischioso”, dove l’ascensore sociale funziona poco o, quando funziona, è altamente selettivo. Ripresa economica lenta e mobilità sociale bloccata sono due ostacoli da rimuovere velocemente per costruire il futuro del paese.

La Stampa, 30 gennaio 2017
Il Secolo XIX, 30 gennaio 2017

Daniele Marini

Nota metodologica

Community Media Research, in collaborazione con Intesa Sanpaolo per La Stampa, realizza l’Indagine LaST (Laboratorio sulla Società e il Territorio) che si è svolta a livello nazionale dal 18 ottobre al 4 novembre 2016 su un campione rappresentativo della popolazione residente in Italia, con età superiore ai 18 anni. Gli aspetti metodologici e la rilevazione sono stati curati dalla società Questlab. I rispondenti totali sono stati 1.486 (su 12.785 contatti). L’analisi dei dati è stata riproporzionata sulla base del genere, del territorio, delle classi d’età, della condizione professionale e del titolo di studio. Il margine di errore è pari a +/-2,5%. La rilevazione è avvenuta con una visual survey attraverso i principali social network e con un campione casuale raggiungibile con i sistemi CAWI e CATI. Documento completo su www.agcom.it e www.communitymediaresearch.it.