A Nordest competizione sinonimo di imprenditività, ma prevale lo statalismo


Sondaggi - domenica 5 Marzo, 2017

Il cambiamento è il tratto distintivo della nostra esperienza quotidiana. Veloce, a volte radicale, soprattutto improvviso e talora inatteso. Gli scenari mutano con elevata rapidità. Nel giro di pochi anni siamo passati dal diffondersi della globalizzazione e dell’apertura dei mercati internazionali, al riemergere con forza di spinte centripete, alla tendenza ai protezionismi e al riaffermare le sovranità nazionali. È la conseguenza a un processo avvenuto in modo accelerato e disomogeneo, non adeguatamente regolato. I movimenti di opinione populisti e sovranisti, tesi a un ritorno alle vecchie regole, hanno buon gioco e trovano in una parte consistente della popolazione un’accoglienza elevata. Il cambiamento non è mai un evento neutro. Quando non genera sviluppo, ma una minore distribuzione della ricchezza e di opportunità, induce resistenze. Ciò avviene in quasi tutto il Vecchio Continente, ma nel nostro paese trova una particolare intensità: l’ascensore sociale si è sostanzialmente bloccato e le speranze di una mobilità si sono ampiamente ridotte. La lentezza, poi, con cui stiamo uscendo da un lungo periodo di recessione appesantisce ulteriormente la percezione di vivere in un paese che non offre possibilità di sviluppo e di crescita. Così, una parte dei giovani decide di spostarsi all’estero, alcune imprese collocano i loro centri decisionali e talvolta produttivi in parti del mondo più dinamiche.

Se a tutto ciò aggiungiamo che l’Italia rimane un paese ad alto tasso di corporativizzazione, dove l’intreccio di interessi è talmente vischioso da rallentare – se non bloccare – qualsiasi tentativo di riforma; dove si reclama il cambiamento, ma ciò deve riguardare prima gli altri; dove la cultura dei “diritti a prescindere“ prevale su quella della “responsabilità”, possiamo comprendere come la “sindrome dello zero-virgola” costituisca un meccanismo sociale e culturale, prima ancora che economico: temiamo il cambiamento perché potrebbe peggiorare le condizioni, anziché migliorarle. Dunque, meglio fare micro-aggiustamenti o addirittura rimanere fermi. Certo, è fuorviante ingabbiare la totalità della popolazione in un simile perimetro. Anzi, parti consistenti sono portatrici di istanze di rinnovamento, di un diverso modo di concepire le prospettive dello sviluppo del paese. Ciò non di meno, all’interno di un’articolazione di orientamenti prevalgono posizioni che esprimono una resistenza alle novità, un timore a provare a uscire dalla crisi con modalità nuove. La ricerca ha sondato la popolazione su come sia meglio agire per uscire dalla perdurante situazione di difficoltà, se fare leva sulla libera iniziativa (mercato), sulle risorse della società civile (sussidiarietà) o sull’intervento pubblico (stato).

La libera competizione nei diversi ambiti della società e dell’economia è un aspetto che divide gli orientamenti. Per il 58,6% è il modo migliore per uscire dalla crisi e avviare lo sviluppo, in particolare in Trentino Alto Adige (77,1%) e in Friuli Venezia Giulia (67,6%). Ma per una parte cospicua (41,4%) sarebbe foriera di un aumento delle disuguaglianze, soprattutto fra i veneti (45,5%). La competizione nel Nord Est, diversamente che dal resto d’Italia, è interpretata come una legittimazione del “merito”, come l’espressione di “imprenditività”. Forse non è un caso, allora, che ad associare la competizione a un aumento delle diseguaglianze siano proprio i lavoratori dipendenti, mentre chi propende per una maggiore libertà d’azione sia chi è collocato al di fuori del mercato del lavoro (giovanissimi e ultra 65enni, pensionati e casalinghe).

Tutti i dati ufficiali, però, rilevano come in Italia – diversamente dal resto d’Europa – sia aumentata la povertà e la disuguaglianza. Anche in questo caso, con quale modalità sarebbe più opportuno agire al fine di diminuire simili fenomeni? Sotto questo profilo otteniamo un orientamento diverso dal precedente. Poco più della metà dei nordestini (53,6%) ritiene debba essere lo Stato a intervenire incrementando le politiche pubbliche, soprattutto in Friuli Venezia Giulia (58,8%) e in Veneto (55,6%). È un orientamento particolarmente sostenuto dai più giovani, dagli studenti e dai disoccupati ovvero da chi è ai margini del mercato del lavoro.  Viceversa, poco più di due quinti (46,4%) considera positivamente una mobilitazione delle risorse della società civile, in un’ottica sussidiaria, attraverso la collaborazione fra cittadini, in particolare fra gli imprenditori e in Trentino Alto Adige (76,2%).

L’insieme di queste risposte aiuta a individuare quattro orientamenti dei nordestini fra prevalenza del mercato, dello stato e della società nell’aiutare il paese a uscire dalla crisi. In primo luogo, possiamo osservare una polarizzazione che vede contrapporsi una visione “liberista” (34,8%) a una “statalista” (30,9%). Nel primo caso abbiamo quanti ritengono che la libera competizione e la collaborazione fra i cittadini siano le risorse principali per far ripartire il paese, in particolare in Trentino Alto Adige (72,5%). Nel secondo caso annoveriamo quanti ritengono la competizione apportatrice di disuguaglianze e per combatterla sia necessario incrementare l’intervento dello stato, orientamento più diffuso in Veneto (33,1%). In secondo luogo, incontriamo due gruppi più contenuti: i “riformisti” (23,1%) costituito da chi vede nell’aumento della competizione lo strumento migliore per uscire dalla crisi, ma contemperato dall’intervento pubblico nel calmierare le disuguaglianze, presente soprattutto in Friuli Venezia Giulia (32,3%); i “sussidiari” (11,2%) che temono la competizione per le disuguaglianze che può generare, ma ritengono la mobilitazione della società civile la risposta migliore per ridurle, particolarmente presenti in Veneto (13,5%).

È un Nord Est controverso quello di fronte alle modalità di uscita dalle difficoltà. Diviso fra chi crede ancora nelle potenzialità (in tutto o in parte) dell’autonomia e del far da sé (46,0%). E chi ritiene più importante l’intervento pubblico (54,0%). Se può risultare comprensibile, alla luce delle ferite della crisi, resta l’interrogativo sulla sua sostenibilità economica.

Daniele Marini

Nota metodologica

Community Media Research, in collaborazione con Intesa Sanpaolo e Cassa Risparmio del Veneto, realizza l’indagine che si è svolta a livello nazionale dal 18 ottobre al 4 novembre 2016 su un campione rappresentativo della popolazione residente in Italia, con età superiore ai 18 anni. Gli aspetti metodologici e la rilevazione sono stati curati dalla società Questlab. I rispondenti totali sono stati 1.566 (su 12.785 contatti). L’analisi dei dati è stata riproporzionata sulla base del genere, del territorio, delle classi d’età, della condizione professionale e del titolo di studio. Il margine di errore è pari a +/-2,5%. La rilevazione è avvenuta con una visual survey attraverso i principali social network e con un campione casuale raggiungibile con i sistemi CAWI e CATI. Documento completo su www.agcom.it e www.communitymediaresearch.it.